PICCOLO GLOSSARIO DEL WUSHU

le origini, il saluto, le simbologie, il Taijiquan ... in pillole dai luoghi comuni a storia e significati

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"agere sequitur esse"

Se "l'agire è una conseguenza dell'essere", cioé del pensare, un po' di chiarezza su alcuni termini e concetti relativi a ciò che si pratica potrebbe contribuire a rendere la propria pratica maggiormente consapevole; ecco in questo senso, insieme agli altri articoli del sito, quello che vorrebbe essere un piccolo contributo (*) a servizio della qualità della pratica del Wushu.

Wushu: origini, precisazioni su un luogo comune

Il Wushu (arti marziali cinesi) è la più antica tradizione marziale è peraltro da sfatare la convinzione, generalmente diffusa, che le arti marziali cinesi siano state inventate dai monaci Shaolin, infatti si tratta di pratiche legate all’addestramento dei militari con origini molto più remote: le più antiche fonti scritte testimoniano una attività ginnica in Cina già nell’11° sec. a.C. (anche se propriamente non si può collegare direttamente nè al Wushu, nè al Qi gong), mentre dal 6° sec. a.C. le fonti scritte si riferiscono esplicitamente al Wushu. Molto tempo dopo (seconda metà del 5°sec. d.C.) nella provincia Henan, su uno dei cinque monti sacri della Cina, il monte Songshan, sorse il monastero Shaolin nell’ambito di una delle varie scuole buddiste cinesi, la scuola Chan. La scuola è più nota con il nome “zen”,  che prese approdando in Giappone, dove fu in gran parte adottata dalla casta guerriera dei samurai. I monaci Shaolin, che ebbero il loro sviluppo sotto la dinastia Tang (618-907),  non sono quindi inventori del Wushu anche se ne concorsero all’elaborazione di alcune tecniche, che divennero poi una “sezione” di quell’enorme patrimonio che è stato tramandato sino a noi e viene tuttora studiato e praticato. A dire il vero le tecniche elaborate dagli Shaolin non avevano solo un significato difensivo, infatti, poiché i monaci erano divenuti importanti proprietari terrieri, fecero uso delle arti marziali anche per reprimere i contadini che si rifiutavano di pagare le decime per i terreni del monastero. 

Wushu: significato del termine

Un termine ampiamente diffuso in Occidente per indicare le arti marziali cinesi è il termine "Kungfu", traducibile con "abilità": una abilità pratica, di ordine manuale, che si può esprimere nelle arti marziali ma anche nel fare il te, dipingere, scrivere, scolpire, lavorare il bambù ecc.; il termine cinese "Wushu" invece significa propriamente "arte marziale". Nel corso della lunghissima storia della Cina sono stati in realtà utilizzati diversi termini per indicare le arti marziali, anche a seconda del diverso periodo storico e delle varie zone geografiche di riferimento, se ne trova un ampio e dettagliato schema fra le 226 pagine della tesi di laurea del Maestro e Prof. Albieri, su "Storia, metodologia e didattica delle arti marziali cinesi", grazie ad un accurato studio del Dott. Fabio Smolari; fra le varie possibilità in merito i cinesi hanno però optato ufficialmente e definitivamente per il termine Wushu, come peraltro attesta la sigla sia della federazione cinese (Chinese Wushu Association) sia della federazione internazionale (International Wushu Federation). L'opzione per il termine Wushu è inoltre fortemente ed ufficialmente avvallata dal Dott. Xu Cai, primo Presidente della International Wushu Federation, come da lui stesso ampiamente riportato nella prefazione al Zhongguo Wushu Shiyong Daquan ("Dizionario pratico delle arti marziali cinesi").

Wushu: suddivisione delle specialità

Taolu (forme), si tratta di sequenze prestabilite di movimenti codificati dalla tradizione secondo diversi stili: Changquan (“pugilato a lungo raggio”, stile del nord della Cina), Nanquan (“pugilato del sud”, stile del sud della Cina), Taijiquan (“pugilato del grande inizio”, stile interno, legato cioè allo studio dell’energia vitale). Le forme possono essere eseguite a mani nude o con armi, le quattro armi tradizionali più usate sono: bastone, sciabola, spada e lancia. Le forme prevedono anche combattimenti prestabiliti (duilièn) eseguiti da due o tre atleti a mani nude, con armi o anche a mani nude contro armi. Vi sono anche vari stili tradizionali a mani nude, come il Pugilato di Shaolin, dell’Ubriaco, dell’Incatenato, della Mantide Religiosa, della Tigre, del Serpente, del Drago, dell’Aquila, ecc. E’ previsto anche lo studio di varie altre armi tradizionali cinesi, oltre alle quattro già citate, fra le quali: alabarda, doppie sciabole, spade uncinate, lancia tridente, bastone a tre sezioni, frusta a nove sezioni, ecc.

Sanda (combattimento libero), questa disciplina prevede il combattimento fra atleti che, con un adeguato equipaggiamento protettivo, si confrontano secondo precise regole che prevedono l’uso di pugni, calci e proiezioni (queste ultime volte a bloccare e atterrare l’avversario, appunto proiettandolo sul tappeto). Nel Sanda (o Sanshou) è previsto il contatto pieno fra gli atleti mentre nel Semi – Sanda (o Qingdà) il contatto è leggero ed è esclusa la possibilità del k.o. tecnico. 

Wushu: il saluto, come si svolge e cosa significa

La posizione delle mani: la destra, chiusa a pugno, è avvolta dalla sinistra per significare che la forza deve essere contenuta e controllata;

la posizione delle braccia: le braccia formano un cerchio per significare l’unità di coloro che praticano le arti marziali;

la composizione della fila: all’inizio e alla fine della lezione ci si dispone in fila in ordine di altezza, i più piccoli sono a destra, questo è tradizionalmente il posto d’onore dove stavano gli allievi migliori.

Durante il saluto il maestro dice: “tong xie men hao”, traducibile con “allievi (tutti insieme) ciao”. Per la precisione "xie men" significa allievi, mentre "tong" significa compagno, non nel senso politico ma nel senso che le arti marziali accomunano tutti i praticanti. L’uso del “tong” intende prendere anche le distanze da antichi aspetti delle arti marziali, che erano da un lato pratiche ufficiali ma dall’altro erano anche patrimonio di gruppi organizzati alla stregua di società segrete. In questi gruppi “clandestini” il maestro era un’autorità indiscussa e veniva salutato con lo stesso saluto tributato all’imperatore (triplo inchino), sia per deridere l’imperatore in modo dissacrante, sia per riconoscere al maestro un potere assoluto; praticamente un diritto di vita e di morte sugli allievi, ai quali poteva chiedere qualsiasi cosa, anche di commettere crimini. Il saluto finale del maestro è “tong xie men zhaijien”: “allievi arrivederci”. Al saluto iniziale del maestro gli allievi rispondono: “Lao-shi hao”, “maestro ciao”, al saluto finale: “Lao-shi zhaijien”, “maestro arrivederci”.

Precedentemente durante il saluto si usava anche effettuare un inchino al mastro, abolito dal 1949 perché poteva avvallare l’aspetto storico del maestro di Wu-shu come autorità indiscussa, che, come già accennato, poteva spingere i propri allievi a commettere reati o insurrezioni, operazioni nelle quali gli allievi rischiavano anche di morire. Pertanto attualmente l’inchino è considerato scorretto; del resto  mantenerlo in uso in nome di una supposta fedeltà alla tradizione cinese non avrebbe senso, proprio perché la tradizione cinese ha avuto una sua significativa evoluzione e non risulta sensata l’insistenza nel riproporre aspetti superati e per di più riferiti a contenuti problematici.

Secondo una precisa codificazione avvenuta nel 1949 il saluto viene utilizzato all’inizio e alla fine dell’allenamento e in occasione delle competizioni; compiendo il saluto verso i giudici l’atleta riconosce di dovere essere valutato e si sottopone al loro giudizio. L’uso del saluto durante l’allenamento sancisce invece l’autorità del maestro, un autorità però ben definita, come si è appena detto. In questo senso il saluto alla fine dell’allenamento indica che con il termine dell’allenamento ha termine anche il ruolo del maestro, che ha concluso il proprio compito e nella vita ordinaria è in tutto uguale agli allievi.

Il 1949 rappresenta una tappa importante nella storia del Wushu anche perché corrisponde ad un importante momento di unificazione e sistematizzazione dell’immenso patrimonio del passato che fino a quel momento era particolarmente legato a differenti scuole, che dipendevano da determinate famiglie, e si trovavano di regola in rivalità (anche accesa) fra di loro. Lo sforzo di sintesi ha consegnato un grande, ordinato e comune repertorio agli istituti di educazione fisica cinesi, divenuti gli autorevoli depositari dei tesori della tradizione. In questo modo l’antica rivalità tra le diverse scuole è cessata, o perlomeno si è molto attenuata, e gli allievi si possono misurare su piani comuni nel confronto sereno delle competizioni sportive.

Wushu: la simbologia dei quattro animali

“Masticare amaro”, ecco il primo messaggio che il giovane americano Mark Salzman ricevette dal famoso maestro di Wushu Pan Qingfu, noto come “Pugno di ferro”. La storia di Salzman è raccontata in “Ferro e seta”: nel film Salzman e Pan Qingfu rappresentano se stessi e in particolare il duro addestramento del giovane americano. Mark giunse in Cina (a Changsha) nel 1982, fresco della laurea in letteratura cinese, per svolgere un’attività triennale come insegnante d’inglese. Mark era pieno di sogni: soprattutto aveva la mente piena delle immagini degli eroi dei film di "Kungfu" ma quello che incontrò in Cina fu un mondo ben diverso da ciò che aveva immaginato; la sua permanenza fu dura, così come fu duro allenarsi con il famoso “Pugno di ferro”. Il film, tratto dal libro dello stesso Salzman, presenta i sorprendenti risultati degli allievi (anche giovanissimi) di Pan Qingfu ma anche l’esigenza e diciamo pure “ruvidezza” del grande maestro, che prima di tutto insegna quanto colui che si vuole accostare seriamente al Wushu debba mettere bene in conto d’imparare a “masticare amaro”. L’immagine è riferita simbolicamente ad uno dei quattro animali che, secondo la tradizione cinese, rappresentano una serie di messaggi relativi al progresso nella pratica delle arti marziali. 

Sopra l’ingresso del luogo in cui ci si addestra sta infatti la tartaruga, che ricorda ai neofiti che bisogna appunto masticare amaro, cioè imparare dalla fatica, essere tenaci e pazienti. La tartaruga infatti, masticando con paziente lentezza, riesce ad assorbire senza pericolo anche elementi che sarebbero velenosi; il gusto amaro non la spaventa e la sua tenacia la porta ad ottenere un risultato, a superare la difficoltà.  

A sinistra di chi entra sta la tigre, che rappresenta la giovinezza, l’energia, il coraggio, la forza d’animo, la fierezza e l’altruismo (per l’altruismo basti pensare a come una tigre sia pronta a difendere i suoi piccoli); la tigre rappresenta anche i risultati sorprendenti che si possono ottenere con l’applicazione, in riferimento a chi è già più esperto. 

A destra sta il drago, animale molto caro alla tradizione cinese, che in questo contesto è riferito a chi ha una lunga pratica nelle arti marziali e rappresenta intelligenza, saggezza, maturità ed esperienza. 

Di fronte alla tartaruga è posta la fenice, il mitico uccello che si riteneva morisse bruciato e rinascesse dalle proprie ceneri, simbolo di longevità e anche d’immortalità. Il messaggio della fenice è questo: se il Wushu è tanto antico e conta tuttora un numero così vasto di praticanti allora si po’ pensare che non finirà mai. 

Non è detto che in Cina le immagini relative a questi animali siano fisicamente presenti nel luogo dell’allenamento, rimane però il fatto che questi quattro animali, con i loro messaggi simbolici, in passato come oggi continuano a parlare al praticante di Wushu, indicandogli le tappe di un lungo cammino e le opportune virtù che ne consentono lo svolgimento.

Le quattro più famose armi tradizionali cinesi, a seconda del rispettivo uso, sono simbolicamente riferite ad alcuni animali o forze della natura: 

il bastone rappresenta il vento, la lancia rappresenta il serpente, la sciabola rappresenta la tigre, la spada rappresenta la fenice.

A questo propostio è interessante sapere che in origine è stato molto importante lo studio dei movimenti degli animali per l'ideazione dei movimenti delle arti marziali.

Wushu: indumenti

I cinesi usano solitamente in allenamento un normale abbigliamento sportivo, mentre nelle competizioni o nelle esibizioni prediligono l'uso degli indumenti tradizionali per il Wushu. E' interessante sapere che l'origine marziale ha lasciato la sua impronta anche negli indumenti, ecco un piccolo esempio: nel corso delle competizioni di Nanquan (stile del sud) è previsto che l'atleta indossi un costume senza maniche, che mette in evidenza un polsino in cuoio con borchie, come vuole la tradizione. In origine infatti il polsino serviva per difendersi dalle torsioni articolari; inoltre anticamente una protezione ampia dell'avambraccio poteva servire anche come difesa dall'attacco di animali selvatici, che potevano aggredire un viandante che si muoveva a piedi in ambienti spesso selvaggi: fornendo all'animali il braccio con la protezione da morsicare si aveva poi modo di attaccarlo e finirlo con l'altra mano. Anche l'abbigliamento contribuisce quindi nella competizione a sottolineare la "marzialità" delle pratiche, come a maggior ragione è rilevante l'interpretazione marziale dei movimenti a mani nude o il corretto uso delle armi (che deve tener conto per es. che la sciabola colpisce in modo differente dalla spada, ecc.). Il costume utilizzato per le competizioni di Changquan è quello tradizionale cinese, con maniche lunghe e fascia mentre per le competizioni di Taijiquan si usa sempre il costume tradizionale a maniche lunghe ma senza fascia, abbigliamento più consono ai movimenti lenti e morbidi che caratterizzano questo stile di Wushu.

Wushu: il peculiare contributo dei monaci di Shaolin

La prassi di premettere all’allenamento un adeguato numero di esercizi di allungamento è abituale nella didattica del Wushu; questi esercizi sono particolarmente importanti come preparazione all’esecuzione delle forme, sia di stili interni che di stili esterni, ma anche per l'allenamento del Sanda. Questa prassi ha una storia ben precisa e risale ai famosi monaci di Shaolin, anzi si può considerare in realtà il loro contributo forse più significativo alla pratica delle arti marziali. Infatti dopo aver trascorso molte ore nella meditazione, nello studio e nella recitazione dei mantra, mantenendo posizioni statiche, i monaci avevano una necessità diciamo “psicofisica” di riattivare la circolazione e anche di muoversi. A queste necessità veniva data risposta in riferimento alle competenze possedute, in particolare in quanto avevano recepito dalla tradizione buddhista esercizi di Yoga che consentivano anche efficaci forme di allungamento e riscaldamento; quanto poi alla necessità di muoversi avevano a disposizione un patrimonio molto noto in Cina: il Wushu. E’ proprio in merito ad una concreta necessità, legata alla pratica austera ed esigente della tradizione Ch’an, che si è consolidata presso i monaci di Shaolin la prassi di praticare il Wushu con un programma scandito da sequenze precise: dove appunto un congruo numero di esercizi di riscaldamento e allungamento (infatti la pratica dello Yoga innalza la temperatura corporea) precedeva la pratica delle forme. Con questo disciplinato programma di allenamento si potevano eseguire i movimenti delle forme con una migliore flessibilità articolare e quindi con un’alta qualità tecnica; non a caso i monaci guardiani erano anche particolarmente efficaci nella difesa del monastero. Constatando che questo sistema di allenamento era remunerativo anche i praticanti di Wushu esterni al monastero hanno assunto lo stesso tipo di programma, che è diventato tradizionale in Cina ed è giunto sino a noi. Peraltro di regola anche nelle varie discipline sportive occidentali la prassi consolidata e abituale consiste proprio nel far precedere la studio dei fondamentali e delle rispettive competenze motorie da adeguati esercizi di riscaldamento e di allungamento; la differenza è che in Cina questo programma di allenamento ha una storia plurisecolare!

Wushu: il pugilato del grande inizio (Taijiquan)

Prima di tutto è bene dire cosa non è il Taiji: non è una danza, benché sia caratterizzato da un armonioso dinamismo; non è una tecnica per meditare, benché sia connesso ad una profonda capacità di concentrazione e risulti particolarmente rilassante; non nasce nell'ambito della medicina tradizionale cinese, benché risulti particolarmente efficace per preservare ed incrementare la salute; non è la più antica specialità marziale, benché sia sorto nell'ambito della più antica tradiziona marziale, quella cinese; non è adatto solo ad alcune categorie di persone, perché è praticabile da chiunque, a qualsiasi età, pur che si sia sufficientemente capaci di pazienza, concentrazione e costanza; non è nato nell'ambito monastico o filosofico, come vorrebbero fantasiose leggende, ma nell'ambito militare pur utilizzando anche concezioni provenienti dall'ambito filosofico e medico.

Autorevoli studiosi cinesi, come Tang Hao e Gu Liuxin, hanno dimostrato infatti che  le origini del Taiji risalgono ad un famoso generale della dinastia Ming: il generale Qi Jiguang (1525 - 1587). Successivamente cominciò ad essere elaborato il primo stile di Taiji nel decennio compreso tra il 1660 e il 1670 ad opera di Chen Wanding (m 1714) del villaggio Chenjiaguo; si trattava di un cadetto dell’Accademia Imperiale che venne distaccato a capo delle milizie civili nel distretto di Wen, nella provincia di Henan (dove sorge anche il tempio di Shaolin), nella Cina centrale.

Chen Wangding ideò lo stile Chen combinando le tecniche di combattimento del generale Qi Jiguang e di altri stili di combattimento diffusi durante la dinastia Ming con antiche tecniche mediche basate sullo studio dell’energia interiore e su esercizi di respirazione profonda (che si svilupparono poi nel Qi gong), in relazione anche con concezioni filosofiche, relative alle antiche teorie dello Yin e dello Yang. 

Taiji (erroneamente trascritto anche come "Tai-Chi") è abbrevizione di Taijiquan: "quan" significa "pugilato" (o stile di combattimento) mentre "Taiji" si traduce solitamente con “principio supremo” o “grande inizio”; il Taijiquan si rivelò essere particolarmente efficace sia come sistema di autodifesa, sia come strumento per preservare la salute.

Rispetto ad altre specialità del Wushu il Taijiquan ha quindi un'origine relativamente recente che, facendo tesoro di un patrimonio marziale molto più antico, aggiunge i caratteristici elementi che lo costituiscono anche come ginnastica morbida, straordinariamente efficace per preservare ed incrementare il benessere psicofisico, come peraltro dimostrato dai dati di numerosissimi moderni studi medici.

Lo stile di Taiji più praticato in Cina e nel mondo è lo stile Yang, che deve il nome al maestro Yang Luchan (1799 – 1872): addestrato dai Chen e in seguito Maestro d’armi nell’esercito imperiale ideò un nuovo stile caratterizzato dall’esclusione di movimenti eseguiti di scatto a favore di una morbida fluidità, determinando così una evoluzione del Taiji rispetto allo stile Chen nell'elaborazione di quello che divenne poi il repertorio maggiormente praticato, ritenuto il più adatto a coltivare la salute e ad essere praticato ad ogni età, come mostra un numero incalcolabile di praticanti, pur senza tralasciare contenuti tecnici particolarmente efficaci anche nella difesa personale e nel combattimento libero.

Ferdinando Costa

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(*) Optando per una serie di tematiche in modo schematico e inevitabilmente settoriale, che pure ritengo significativo, ripresento in questo articolo con un po' di rielaborazione anche contributi parzialmente presenti in precedenti articoli pubblicati sul sito della "Spartacus" (compreso il riferimento ad articoli non più presenti nel sito).

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