IL WUSHU COME PREZIOSA NARRAZIONE DEL "NOI"

Una caratteristica del nostro contesto culturale è l’ipertrofia dell’ego, un eccesso di concentrazione su di sé che, come un’epidemia, si diffonde pericolosamente con una paurosa rapidità. Non ci vuole molto a cogliere che in un mondo con tanti “io”, attenti in modo spropositato solo alle proprie supposte esigenze, l’attenzione agli altri, la disponibilità a cogliere il punto di vista dell’altro e a percepire la sua sofferenza, siano competenze decisamente atrofizzate. Come non ci vuole molto a cogliere che l’elogio spropositato dell’io sia allo stesso tempo anche il canto funebre del “noi”, oltre che una base molto efficace per il conflitto: la vecchia sapienza popolare sa bene che in un pollaio non possono starci molti galli, se non azzuffandosi fra loro.
Sappiamo anche da tempo di essere tutti compaesani nel “villaggio globale”: la tecnologia ci ha messi tutti gomito a gomito, prossimi gli uni agli altri. A questo possiamo aggiungere la consapevolezza che le risorse del pianeta sono limitate, la devastazione dell’ambiente naturale preoccupante, la transizione ecologica tanto necessaria quanto urgente e possibile solo nella collaborazione fra stato e stato, per il semplice motivo che nessun paese ha tutte le risorse necessarie alla transizione nel proprio territorio: l’unica conseguenza logica di tutto ciò sarebbe una fattiva e solidale collaborazione fra ogni nazione. Eppure assistiamo a una quantità di conflitti impressionante, contro ogni norma del diritto internazionale, in uno scenario globale dove non di rado chi ha più potere opta per le scelte più miopi, autoreferenziali e aggressive possibili.
Questo è un aspetto della realtà in cui stiamo vivendo, forse quello più evidente, più raccontato, più utile ad alzare l’audience… ma non è l’unico, vi sono altri mondi possibili o almeno ci si può lavorare. Il mondo dello sport ha la possibilità di essere uno straordinario ambiente formativo e non solo in senso fisico: già la nostra tradizione classica concepiva la rilevanza della “mens sana in corpore sano”. È la mente che muove il corpo e che si plasma, insieme alle emozioni, nell’esercizio delle discipline sportive. Se questo vale per qualsiasi sana attività sportiva, c’è però una preziosa specificità delle arti marziali, in particolare di quelle più antiche: le arti marziali cinesi. Alla lunghissima sperimentazione nel corso dei secoli, giunta sino a noi senza soluzione di continuità da un numero incalcolabile di praticanti, si aggiunge il fatto che il Wushu ha avuto un impatto molto particolare nel tessuto sociale e culturale della Cina. Il Wushu è entrato persino nei monasteri (pensiamo alla tradizione buddhista Shaolin), ha ispirato la letteratura e le altre arti e si è reciprocamente interfacciato con i grandi sistemi di significato della Cina: le due grandi tradizioni autoctone, Daoismo e Confucianesimo, e la tradizione Buddhista entrata dall’India (esempio di un fecondo processo di inculturazione, sì perché la storia insegna che culture diverse possono tranquillamente convivere e arricchirsi reciprocamente). In modo diverso Daoismo, Confucianesimo e Buddhismo sono grandi narrazioni collettive, dove si sottolinea la collocazione del singolo in qualcosa di più grande di lui, che sia la natura o la società o entrambe, comunque una dimensione grande, dal valore metafisico, che richiama al senso della collettività.
Anche se non bisogna forzare le connessioni fra le diverse componenti della società possiamo pensare che non sia un caso che la didattica tradizionale del Wushu abbia una forte impostazione collettiva: s’imparano le arti marziali in genere all’interno di un preciso gruppo e comunque per imitazione di un praticante esperto, che prima di tutto è chiamato a trasmettere fedelmente il repertorio che ha ricevuto dalla tradizione. Nella didattica delle forme (taolu) è particolarmente evidente la componente comunitaria: l’apprendimento avviene attraverso innumerevoli ripetizioni di gesti tramandati nel corso dei secoli e inventati spesso da praticanti sconosciuti. La sottolineatura non è nel prestigio del singolo “io” ma nella fedeltà al “noi” della grande famiglia dei praticanti, nella quale l’io si ridimensiona, si struttura e trova un proprio equilibrio e una propria collocazione. Il Wushu è una possibilità preziosa, soprattutto rispetto al nostro contesto culturale, di plasmare non solo il corpo ma anche la mente e le emozioni, in un processo di maturazione globale della persona che, grazie anche alla varietà delle specialità, può durare letteralmente per tutta la vita e questo diventa contributo concreto per una società meno conflittuale, più sana e armoniosa!
Ferdinando Costa